F I C H T E
Johann
Gottlieb Fichte, nato nel
1762 a Rammenau (in Sassonia)
e morto nel 1814,
è stato un filosofo
tedesco continuatore
del pensiero di Kant
e
iniziatore dell'idealismo
tedesco.
Durante
la sua infanzia fu costretto a lavorare come guardiano di oche per
aiutare la sua famiglia povera. Fu grazie al sostegno del barone von
Miltitz che Fichte poté incominciare gli studi. Dopo
aver frequentato il ginnasio a Pforta nel 1774, nel 1780
si
iscrisse alla facoltà di teologia
di Jena,
proseguendo in seguito gli studi a Lipsia.
Nel 1785 si trasferì a Zurigo,
dove conobbe Johanna Rahn, con la quale si sposò nel 1793.
In questo stesso anno fu iniziato alla massoneria
a Danzica.
Dopo
aver scritto un'opera intitolata "Saggio
di una critica di ogni rivelazione"
(in cui esponeva abilmente i principi della morale kantiana
applicandoli alla religione
rivelata),
Fichte si recò a Königsberg
per
farla leggere a Kant. Quando un editore pubblicò il lavoro nel 1792,
per intercessione di Kant, non vi stampò il nome dell'autore: per
questo motivo si pensò fosse un'opera di Kant stesso. Quando Kant
rivelò l'identità dell'autore, Fichte divenne immediatamente
celebre, e due anni dopo venne chiamato all'Università
di Jena.
Fichte,
anche se stimatore di Kant, criticò
l'"io" kantiano:
quest’ultimo, infatti, aveva la semplice funzione di “ordinatore”
di una realtà preesistente. Era un “io” finito, in quanto
limitato nel suo agire dal noumeno. Per Fichte
l’“io”
diventa
“creatore”
infinito, ovvero è il soggetto che crea ogni cosa (dal punto di
vista conoscitivo e materiale). Questo riconoscimento del ruolo
assoluto del soggetto (detto anche “spirito”) stabilisce la
nascita di una nuova corrente filosofica: l’idealismo.
L'idealismo
di
Fichte viene
definito “etico”
in quanto la morale ha un’assoluta
superiorità della morale sull’aspetto conoscitivo.
Secondo Fichte
noi
esistiamo per un unico motivo, quello di agire, e il mondo esiste
solo come nostro “ostacolo”, lo “scenario” delle nostre
azioni. L'obbiettivo dell'io è l’affermazione assoluta della sua
libertà data dalla vittoria sugli ostacoli: “non vale nulla essere
liberi; cosa divina è diventarlo!”. Il
senso dell’io sta dunque in un continuo auto-perfezionamento di se
stesso (superando
passioni e egoismi) e nel rendere il mondo circostante sempre più
“umanizzato” e popolato da una società di individui liberi e
razionali.
Secondo
Fichte, per raggiungere tale scopo, è necessario
l’intervento del “dotto”:
ossia l’intellettuale
che, in quanto consapevole dei veri bisogni non deve in nessun modo
elevarsi superbamente al di sopra degli altri uomini e, come guida
ed educatore, deve
attivamente lavorare per il miglioramento morale di tutta l’umanità.
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