L'empirismo (dal greco "empeirìa", ossia "esperienza") è una branca filosofica, nata nella seconda metà del Seicento in Inghilterra, secondo cui la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi o dall'esperienza. I maggiori esponenti dell'empirismo anglo-sassone furono: John Locke, George Berkeley, e David Hume. Costoro negavano che gli esseri umani avessero idee innate, che qualcosa fosse conoscibile a prescindere, senza quindi prima aver avuto un'esperienza. L'empirismo si sviluppò in contrapposizione al razionalismo, corrente filosofica il cui esponente principale è stato Cartesio. Secondo i razionalisti, la filosofia si dovrebbe fondare sull'introspezione (atto della coscienza che consiste nell'osservazione e nell'analisi della propria interiorità) e il ragionamento deduttivo. Secondo gli empiristi, invece, si considera alla base del metodo scientifico l'idea che le nostre teorie dovrebbero essere fondate sull'osservazione del mondo piuttosto che sull'intuito o sulla fede. In senso lato, oggi per "empirismo" si intende un approccio pratico e sperimentale alla conoscenza, basato sulla ricerca e su un modo di procedere a posteriori, preferiti alla pura logica deduttiva. In questo senso possono essere fatti rientrare nella corrente empirista anche Roger Bacon, Thomas Hobbes, e l'induttivista Francesco Bacone.
Corrente filosofica che pone nell’esperienza la fonte della conoscenza. Si oppone a ‘innatismo’ e a ‘razionalismo’, che fanno derivare la conoscenza per deduzione da principi razionali evidenti a priori, e si distingue dal ‘sensismo’, che ammette una sola fonte della conoscenza, il senso esterno o sensazione, in quanto ammette anche il senso interno o riflessione. Nella storia della filosofia l’empirismo è rappresentato in modo particolare dagli epicurei, dagli stoici e dagli scettici; per l’età moderna (Bacone, Locke, Hume).
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